martedì 25 novembre 2008

Tecnici da esportazione

L'Unità - 25 novembre 2008
di Malcom Pagani

Tecnici da esportazione che in altri continenti hanno trovato fama e notorietà, ma non soldi.
Esclusi dai viziosi giri dei procuratori, gli allenatori meno pubblicizzati sono emigrati all’estero: Albania, Indonesia, Iran, Mali. Dovunque ci sia lavoro, i neo disoccupati si lanciano, osservando mondi unici.


Trombetta, Mattè e gli altri
Quei mister «globetrotter»
Esclusi dai viziosi giri dei procuratori, gli allenatori meno pubblicizzati sono emigrati all’estero: Albania, Indonesia, Iran, Mali. Dovunque ci sia lavoro, ineo disoccupati si lanciano, osservando mondi unici.
Il telefono nell’angolo, silenzioso. Il ricordo dell’ultimo successo che ingiallisce dietro la cornice. Viaggiano perchè a volte è l’unica soluzione. Dimenticati dai procuratori o semplicemente disoccupati, gli allenatori italiani di retroguardia hanno studiato. Albania,Costa D’Avorio, Indonesia, Iran, Mali. La carta geografica degli ingaggi possibili, è un mappamondo da girare a caso. Solo camminando tutta la notte verso il giorno,si incontra la luce. Con un cognome da film di Totò e una carriera da eterno gregario, Maurizio Trombetta da Udine si è scoperto diverso a 46 anni. Ha inseguito ledistanze, ritrovandosi in Transilvania. Lontano da omologhi come Capello, Trapattoni o Zola. Da Cluj-Napoca, 300.000 abitanti,lampi di medievale bellezza, domanisfiderà la Roma in Champions.All’andata, con la sua banda di argentini, brasiliani e portoghesi, «parlo inglese, spagnolo, e soprattutto italiano» gelò l’Olimpico. Tra poche ore sarà più dura. «Ma qualchesperanza la covo,potremmo ancora stupire». Dopo il trionfo, lo festeggiarono coniando neologismi.«Magul Trombetta», un tipo a proprio agio con le magìe. «Ma il pallone inganna - ride - domani potrei diventare “stupidul” in unsoffio».Dopo un decennio nascosto all’ombradi Guidolin e Galeone «i due estremi: l’organizzazione maniacale di Francesco e la geniale pazzia di Giovanni» e una fugace esperienza nel dilettantismo con il Sevegliano, ilparadiso ha smesso di farsi attendere. «Volevo ballare da solo. Mi hanno chiamato, ho riflettuto e poi ho detto di sì. Se non sei sul carro che conta, guadagnare uno spazio è difficile». Con sè ha trascinato nell’avventura un’indimenticabile figurina degli‘80, Alessandro Zaninelli. Il portiere del Catanzaro, l’ex sindacalista con la barba che a Montichiari, finoall’altro ieri, annaspava tra gli allievi. «Per la prima volta ho assaporato il lusso di poter creare un mio staff». Lui, “Zana”, si è sentito come in un libro di Kerouac. «Andiamo. Sì, madove? Non lo so ma dobbiamo andare » e lo ha raggiunto in 48ore. L’esperienza ad Est, li ha arricchiti. «Qui mi sono sentito emigrante e ho capito una volta di più quanto sia scioccogiudicare con le lenti del preconcetto. Riconosco nei rumeni alcune peculiaritàdei friulani. Lavorano fin da giovani, come facevamo noi. Gente in gamba, seria, leale». Argomenti che ritornano nei racconti salgariani di Romano Mattè, 69 anni e trasvolateoceaniche come bicchieri d’acqua. Tre anni in Indonesia a cavallo dei ‘90 e poi il Mali in Africa, nel nuovomillennio. Oltre le dolcezze dell’Harry’s Bar,Mattè ha visto altro. «Mi imbarcai permettere la giusta distanza tra me e il dolore provocato dalla morte di mia moglie. In 6.000 chilometri,le amarezze si diluiscono. Dei soldi non mi importava niente. Dimenticavo di ritirare lo stipendio ma ero adorato, perchè mi ponevo con rispetto e studiavo le usanze locali.Ho sempre creduto che i miei giocatori fossero il risultato di secoli di storia, cultura e tradizione. Volevo cogliere l’anima delle persone». Operazioneriuscita. «Quando rimisi Ho sempre creduto che i miei giocatori fossero il risultato di secoli di storia, cultura e tradizione. Volevo coglierel’anima delle persone». Operazione riuscita. «Quando rimisi piede in Italia, ero di nuovo pronto a vivere e amare. Portai professionalità e concretezza. Un’organizzazione del lavoro che a molti fornì poi l’occasionedi procedere per contoproprio». Mattè rifiuta di considerare il calcio solo un gioco. «È il distillato della società, un’evoluzione continua, la proiezionedi comesiamo e di cosa diventeremo ».Dell’immensità africana, gli è rimasto addosso un particolare. «Sa qual’è l’ingiuria più scandalosa? Ignorare le intelligenze presenti inquell’area. Ragazzi che comprendono in 15 giorni, quello che un italiano impara in tre mesi». Fuori dal giro giusto era anche l’attuale osservatoredel Bologna Giovanni Mei. Per insegnare, si spostò a Teheran. Tecnico del Saipa tra il 2003 e il 2005.«Per decidere, mi diedero due ore. Respirai e mi ritrovai in Iran. Tensionie pericoli reali ma anche la felicità di poter essere davvero utile e il piacere dell’altrui riconoscenza.Ero stancodi accettare compromessi in serie C, tra presidenti cialtroni e squadre modeste». Questione di carattere. «Ingoiare le angherie, mi nauseava». Persepolis, allora. «Percapire l’indole degli abitanti, non sarebbe bastata un’esistenza. C’era una sorpresa al minuto».Ora che la normalità somiglia a una prigione,evadere è una tentazione. Un’improvvisa attesa, la propensione a spiccare il volo.

IL SOGNO DI MAURIZIO
«Rispetto alla gara d’andata,per battere la Roma ci vorrebbeun miracolo. Io ci credo, la miamultinazionale è in grado dicompiere l’impresa, Certamentenon partiamo sconfitti».